Dalla fine di Febbraio dello scorso anno sono passati circa 15 mesi. Sono stati mesi difficili per tutti, ma se sei un adolescente o un giovane adulto, forse per te lo sono stati ancora di più proprio per la fase di crescita che stai vivendo: anche se per una ragione necessaria, sei stato limitato nelle tue libertà e costretto a un isolamento forzato dai tuoi amici, conoscenti, familiari e compagni di scuola.
Le reazioni alla sofferenza
Molti ragazzi hanno attraversato questo periodo senza troppi problemi, magari con il supporto delle loro famiglie. Ma per molti altri il lockdown è stato il momento in cui emozioni come ansia, rabbia, tristezza o problemi del passato che sembravano superati sono tornati a galla. Quando soffriamo per qualche motivo, noi esseri umani tendiamo a reagire in alcuni modi tipici, ad esempio:
- ci distraiamo dalla cosa che ci fa soffrire
- cerchiamo di negarla a noi stessi (e agli altri)
- ci critichiamo o ci puniamo per essa, a parole o in modo fisico
- critichiamo o puniamo qualcun altro
- ci isoliamo
- abusiamo di alcol, fumo o altre sostanze per smettere si soffrire
- ci arrendiamo alla situazione e diventiamo passivi.
Se noti che alcune di queste modalità di appartengono, sappi che sono strategie difensive naturali che la mente attua per prendere distanza dalla sofferenza, specie quando è troppo intensa.
Il problema è che in genere queste strategie si rivelano utili solo a breve termine: ad esempio, puoi cercare sollievo dalla tristezza nell’alcol, ma non appena tornerai lucido ritroverai la sofferenza dove l’avevi lasciata e con addosso anche gli effetti debilitanti della sbornia. In più, potresti dire a te stesso che sei uno stupido buono a nulla, sentirti in colpa o provare vergogna.
In altre parole, queste strategie “istintive” non ci aiutano a stare meglio e anzi possono peggiorare il rapporto con abbiamo con noi stessi: possiamo diventare più arrabbiati, criticarci in modo più violento, non accettarci o perfino arrivare a farci del male.
Un altro modo per rispondere alla sofferenza
Esiste un modo più sano di rispondere (invece che reagire) alla sofferenza, definito “compassione”. Si tratta innanzitutto di smettere di evitare o negare la sofferenza che sentiamo, e di criticarci per essa. Compassione significa iniziare a comprenderla, accoglierla e creare dentro di sé un senso di “calma e sicurezza”. Significa imparare a sostenere e incoraggiare se stessi e infine essere motivati a prendersi cura di sé usando le strategie adatte.
Ma come si fa?
Ci sono molti modi per coltivare questo senso di auto-compassione, e ora vorrei proportene uno molto semplice. Questo esercizio serve a creare una pausa dalle difficoltà che sentiamo, e può aiutarti a sviluppare internamente un sentimento di calma e sicurezza durante le difficoltà e coltivare gradualmente un atteggiamento più gentile verso di te.
La pausa compassionevole
1) Quando ti accorgi di essere in preda a un’emozione molto forte e spiacevole (es. tristezza, preoccupazione, stress…), fai un break: interrompi per un attimo quello che stavi facendo.
2) Porta una mano nella parte del corpo che senti più “in difficoltà” o che ha più bisogno, ad esempio quella che senti molto tesa o al contrario “scarica di energia”. Qualche esempio:
- una o entrambe le mani nell’area del cuore
- una mano sulla pancia e una sul cuore
- una o due mani sul volto
- massaggiare una parte del corpo
- abbracciarti
3) Silenziosamente dì a te stesso:
“Questo è un momento difficile per me” oppure “in questo momento non sto bene”.
“Soffrire è normale, è parte della vita di tutti. Altre persone si sentono così in questo momento. Non sono solo. Non è colpa mia, non è una mia scelta.”
4) Resta con la mano in contatto per il tempo che ti serve, e prima di concludere prova a dare a te stesso un incoraggiamento per affrontare questa difficoltà. Cerca di usare un tono gentile e compassionevole (come se parlassi a una persona a cui vuoi bene e che sta soffrendo). Prova a ricordare a te stesso cosa hai il potere di fare in questa difficoltà.