Marta è una ragazza di 25 anni. Fin da bambina è sempre stata capace di non perdere la calma e mantenere il controllo sulla sua vita, e per questo è stata sempre apprezzata in famiglia e a scuola. Nonostante questo, da qualche tempo ha iniziato ad aver paura che qualcosa dentro la sua testa si sia “incrinato”…

Un mese fa era ad una festa, il locale era affollato e aveva la musica alta, e dopo aver bevuto un paio di cocktail ha sentito uno strano sbandamento, la testa leggera e ha iniziato a sudare. Ha subito pensato che fosse qualcosa di strano, mai sentito prima, forse pericoloso, che avrebbe potuto perdere i sensi da un momento all’altro. Dopo pochi secondi, ha iniziato respirare con fatica, il cuore batteva sempre più rapido e la mente cominciava ad annebbiarsi…così si è fatta sempre più netta la convinzione che avrebbe perso la coscienza e qualche conseguenza drammatica sarebbe di sicuro successa: il disastro era arrivato e nulla l’avrebbe salvata.

In seguito, ha avuto altri episodi simili che l’hanno fatta preoccupare per la perdita del suo equilibrio psichico, sebbene le visite mediche non abbiano trovato nessun problema organico. Così, ha iniziato a evitare tutti i luoghi affollati dove pensava che si sarebbe potuto ripresentare un attacco di panico (locali pieni, partite e gare, strade in centro, feste, mezzi pubblici) e da qualche settimana ha preso a uscire di casa solo accompagnata da sua madre o suo fratello: quando esce da sola avverte una sensazione di precarietà, come se la minaccia fosse sempre dietro l’angolo.

Perché si usa la parola “panico”?

Usiamo spesso il termine PANICO (“ero andato nel panico!”, “non ti impanicare…!”) per indicare uno stato di ansia transitorio e intenso, ma, per la verità, l’attacco di panico è un’esperienza ben definita e diagnosticabile con criteri clinici.

Ma perché si chiama così? Il termine viene dal nome del dio greco Pan, figlio di Ermes e raffigurato nelle sembianze di un satiro. Anche se l’etimologia ha un significato correlato al pascolo (Pan era la divinità della campagna e dei pascoli), dal suo nome è derivato l’aggettivo “panico” poiché il dio si adirava facilmente con chi lo disturbava, emettendo urla terrificanti che provocavano nei mortali una paura intensa e incontrollabile; o appariva d’improvviso ai camminatori per poi scomparire velocemente, seminando il terrore e lasciandoli in uno stato di impotenza e incomprensione.

Attacco di panico e Disturbo di panico

L’attacco di panico si presenta come un episodio breve (in genere entro i 10 minuti) di intensa paura, pensieri catastrofici (es. paura o certezza di stare per morire, impazzire, svenire) e segnali fisici molto spiacevoli che indicano l’attivazione del sistema di allarme (es. palpitazioni, sensazione di asfissia, sudorazione tremori, dolore al petto, sensazione di sbandamento ecc…).

L’attacco di panico di per sé non è un segno di patologia, ma un fenomeno “benigno”: una reazione di adattamento che ci viene dalla storia evolutiva per “preparare” la persona, fisicamente e mentalmente, a quella che viene percepita come una minaccia straordinaria. La presenza di un singolo episodio non è quindi sufficiente per fare una diagnosi.

Gli attacchi, però, indicano la presenza di un disturbo di panico quando sono ricorrenti e inaspettati (“a ciel sereno”) e si accompagnano a una preoccupazione costante per futuri attacchi o per le loro conseguenze, la quale finisce per limitare e peggiorare la qualità della vita di tutti i giorni, ad esempio con la tendenza a evitare le situazioni “minacciose” in cui potremmo avere un nuovo attacco… Quando si sviluppa il disturbo, si strutturano anche specifici meccanismi di mantenimento – cognitivi, comportamentali e di natura relazionale – che impediscono una remissione spontanea dal disturbo.

Agorafobia

Una condizione correlata al disturbo di panico, presente in circa il 50% delle persone interessate, è infine l’agorafobia: in questo caso si sente l’ansia di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o dove potrebbe non essere disponibile un aiuto nel caso si presentasse un attacco di panico. Le situazioni più tipiche sono l’essere da soli fuori casa, stare in mezzo alla folla, trovarsi in spazi aperti o situazioni costrittive che limitano la libertà di scelta e di azione).

Quando si sviluppa questo disturbo, in genere in seguito al disturbo di panico, la vita si fa molto più limitata perché aumentano a dismisura i luoghi e i contesti evitati e il bisogno di avere accanto una persona.

C’è una soluzione?

Oggi i disturbi di panico e agorafobia sono descritti dai clinici nel loro funzionamento e nelle cause sottostanti, perciò chi ne soffre può comprenderne il significato sia nel modo in cui si svolge nel presente, sia in relazione alla storia di vita e agli eventi che ne hanno determinato la comparsa. Ma soprattutto, sono stati sviluppati strumenti clinici per affrontarli, ridurre la probabilità di comparsa degli attacchi e superare gli stati di ansia e gli evitamenti che bloccano la vita quotidiana delle persone con agorafobia.

La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale in particolare si è rivelata efficace nel trattamento di questa condizione, attraverso un trattamento che comprende la condivisione del modello di funzionamento costruito sul singolo, l’automonitoraggio, l’intervento cognitivo sulle credenze catastrofiche associate agli attacchi, e procedure di esposizione che aumentano la capacità di tollerare i sintomi di ansia.

Se ti è capitato di recente di avere un attacco di panico, hai il dubbio di averlo avuto, cerca di non allarmarti ma presta più attenzione a quello che sta accadendo “dentro e fuori di te” in questa fase di vita. Puoi coltivare alcune pratiche che consentono di “sganciarsi” dal circolo vizioso tra sintomi dell’ansia e pensieri catastrofici tipico del panico e che ti riportino al qui e ora, come:

  • brevi e semplici esercizi di respirazione, come lo spazio di respiro che descrivo in questo blog;
  • la pratica immaginativa del luogo calmo e sicuro, che descrivoin questo articolo;
  • pratiche di compassione e auto contatto, come la pausa compassionevole.

E se senti di non farcela da solo/a, chiedi aiuto a uno Psicologo che si occupi di questo disturbo, per riconquistare la libertà che questo problema ti ha sottratto.

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